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9 febbraio 2017 4 09 /02 /febbraio /2017 16:24

Questo post è riferito ad un certo periodo di questa festa, che ebbe "momenti si e momenti no" Riprese nel 1965 e fu fatta fino al 1984 poi non venne fatta fino al 1997. Le foto sono di diversi anni, per poco spazio, ne pubblico solo alcune di quelle che possiedo. Nel 1952 la festa ebbe anche un suo inno  (Maggio in fiore)che fu composto da Cesare Romiti e Domenico  Castellana, ho inviato lo spartito al maestro L. Guarnieri pregandolo di farmene almeno una registrazione con la banda musicale cittadina...Speriamo bene....

La Festa dei Fiori osimana ha una storia anche se non continua e conseguente. Nel 1906 al Borgo S. Giacomo per interessamento di Fiumani Alessandro, tale Cristofanetti e Re Giuseppe, ebbe luogo il primo Corso dei Fiori: manifestazione molto bene riuscita anche se limitata e di modeste pretese.

Nel 1910 (e successivamente nel 1913 e 1914) l'iniziativa fu presa dalla oggi scomparsa Associazione di Pubblica Assistenza « Croce Bianca ››; la Festa dei Fiori ebbe un respiro più ampio ed un maggiore sviluppo. Giulio Turicchi ne parlò all'Avv. Pietro Recanatesi: nei locali della Croce Bianca si tenne una prima adunanza alla quale presero parte oltre il Turicchi e Recanatesi, anche Schiavoni Nazzareno, Zoppi Egidio, Mengoni Pacifico ed un altro paio di persone delle quali ci mancano i nominativi, sicuri e precisi. Da fonte sicura ci risulta che in quella riunione si discusse a lungo e si concluse con un parere favorevole: ci si mise subito al lavoro, stabilendo di fare un'altra adunanza con maggiore numero di soci per concretare un programma, dividere le varie mansioni (come poi è stato sempre fatto) per gli addobbi, feste al Teatro, pesca, cartoline commemorative, bande, tombola e più ancora studiare ogni mezzo perché la festa riuscisse. E la cittadinanza tutta rispose sempre in pieno. Si devono ricordare le famiglie Carradori-Gallo, Bellini, nonchè Gambini, Diotallevi, Avv. Pietro Recanatesi (con i suoi pony) Giaia, Maggioni, che hanno sempre partecipato con carri addobbatí con fiori, così artisticamente, da non avere nulla da invidiare a quelli famosi di S. Remo e Ventimiglia (queste ultime parole sono di un corrispondente romano di un giornale). Concretato anche nei particolari il progetto, si unirono alla Croce Bianca le Signore che facevano parte dell'opera del Baliatico che in quei tempi fece tanto del bene in Osimo e per loro mezzo si provvide alla vendita delle cartoline commemorative, alle pesche di beneficenza, agli stendardi riuscitissimi, dipinti o ricamati, da dare, con le medaglie, in premio ai carri, alle migliori vetrine, ai balconi meglio addobbati. Nel 1912 Cappannari Mario fece sei disegni di stendardi. I carri, allora, erano tutti trainati da cavalli. Non ci dilunghiamo nella loro descrizione, nè in -altri particolari su quanto aweniva in Teatro ecc. Ricordiamo soltanto che oltre la Banda Cittadina (che dava la sua opera gratuitamente) vennero, anno per anno, chiamate da fuori le Bande Musicali di Chieti, Caramanico, Città S. Angelo. Ci fu la guerra 1915-1918 e si dovette soprassedere a qualsiasi manifestazione del genere. Nel 1920, nel 1921 e nel 1922 la Festa dei Fiori, sempre per opera della Croce Bianca, riprese il suo sviluppo. Dopo tali date si ritornò al niente di fatto. Un anno che la festa fu svolta in due giorni, si trovò posto pure per una memoranda partita di calcio, con l'intervento del « Bologna ›› che in quell'anno era risultata la prima squadra d”Italia. Si trovano ancora nelle vecchie collezioni, o in fondo a qualche cassetto di care memorie, alcuni esemplari delle cartoline illustrate vendute per l'occasione: vecchi motivi floreali e liberty, caratteristici del tempo. Quando, però, tutto sembrava morto per sempre, ecco nel 1948 riorganizzarsi questa sempre attesa e festosa manifestazione. Ne facemmo la seguente relazione ai giornali:

La tradizionale Festa dei Fiori

Il moderno rapido mutare degli eventi che trasforma quasi quotidianamente usi e costumi delle grandi città, riesce ad incidere oramai anche sulla vita di questi nostri vetusti centri, la cui storia millenaria sembrava aver cristallizzato tradizioni e usanze rese venerande dai ricordi storici. E' avvenuto così che anche la nostra Osimo, la cui impresa « Vetus Auximon ›› ci riporta alle sue origini preromane - si è tolta di dosso da decenni la bardatura di usanze non più gustate dal popolo e _ tra le moderne si è fatta campione nello sfarzoso svolgimento della Festa dei Fiori. `Della creatrice, la defunta « Croce Bianca ››, ne è oggi «erede la non meno locale e più scanzonata, nonché floridissima « Società dei senza testa ››, nel cui nome è tutto un programma. E ogni anno le cose assumono proporzioni e ricchezza sempre più imponenti, tanto da radunare per l'occasione il più e il meglio dei centri circostanti. La scorsa domenica per le vie adorne di massicci numerosi festoni, una folla inverosimile si è goduta per ore lo spettacolo imponente, vivace e fatto di tutta eleganza, dello sfilare di una decina di carri ispirati alle più gioiose allegorie e avvivati dalla presenza di bambine e giovanette, fiori in mezzo ai fiori. Negozi riccamente pervasi da fiori e da decorazioni delle merci più varie e fini, balconi e finestre addobbati e riboccanti di verdure e ancora di fiori, facevano cornice atutto questo trionfo di invadente primavera. Il programma della manifestazione coincidente con la celebrazione della popolare festa della Madonna di Piazza comprendeva per la parte religiosa la Processione, e - per quella civile _ l'estrazione di una tombola, una corsa ciclistica, l'esecuzione di un servizio bandistico, l'accensione di un fuoco d'artificio. Tutto si svolse pure con tanta massa di popolo, con una proprietà e un ordine che fanno onore agli organizzatori ormai allenati e sempre infaticabili. Notiamo per la cronaca i premi ai seguenti carri allegorici: Primo premio alla Ditta Campanelli per un grandioso giardino d'estate su camion; secondo al sig. Tullio Alessandrini per un elegantissimo tiro a tre ornato di fiori con tale gusto e signorilità da fare invidia ai carri fiorati dei più bei tempi del Sette-Ottocento; terzo premio, alla Soc. Corale per un magnifico palco ambulante ornato da una lira in fiori, di proporzioni eccezionali; a pari merito, alla Soc. « Veri Amici ››, per altro carro simbolico molto curato nei particolari. Di bell'effetto quelli costruiti dal Partito Repubblicano e dalla Società organizzatrice della Festa. Tra i negozi « ex aequo ›› Paoli, di ampio respiro e fastoso, le dove il bell'effetto scenico è sempre sfruttato le l'oreficeria Cardinali-in cui si è data adeguata cornice ai vari preziosi di cui dispone; terzo premio, la profumeria Gabbanelli per la graziosità, la sobria eleganza di un minuscolo settecentesco salottino da toeletta. Molto ammirati, fuori concorso, i negozi Pesaro, ricchi di stoffe di gran lusso disposte in ambiente di carattere; Giardinieri, che con ingegnosi adattamenti e giuochi di luci espose un vistoso assortimento di gioielli e lavori in oro; la Calzoleria Gioacchini, dove il gusto dell'arte... di famiglia, si accompagnava a quella del mestiere, anch'esso di famiglia. Tra i balconi, di cui molto curato il balcone di casa Magnoni, molto osservato quello di casa « Volpinì ›› dove una originale allegoria annunciava la recentissima nascita di una pupetta. Merita una particolare osservazione una superba fontana fatta appositamente costruire dalla Ditta Burghiani, dove funzionava con begli effetti di luce un motore Lombardini alimentatore di un potente getto ricadente su larga vasca. Non possiamo omettere un cenno al Concerto Bandistico svoltosi nella Piazza Maggiore sotto la direzione del Maestro Di Girolamo, che ebbe un vero successo e per la eccezionale proprietà delle esecuzioni e per la bella affermazione del sopranino solista Domenico Critelli, giovanetto di soli 15 anni, che è innegabilmente destinato a un luminoso avvenire. Oggetto di critica, come al solito, il contegno dell'Amministrazione Comunale che nè si decideva se non dopo insistenze a esporre i propri drappi, né faceva suonare il Campanone, nè si risparmiava la vergogna di presentare ai tanti forestieri la facciata di due suoi Palazzi tutta imbrattata di resti di manifesti elettorali, mentre tutti i privati cittadini avevano speso fior di quattrini per toglierli dalle proprie case. Ma i cittadini sono una cosa e l'Amministrazione Comunale è ben altro: e per questo l'hanno solennemente trombata nelle recenti elezioni... e quella finge di non essersene accorta.

(Da « L'Avvenire d'Italia ›› - 1948)

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Published by franco focante
28 gennaio 2017 6 28 /01 /gennaio /2017 16:13

Oggi faccio riferimento ai vescovi che hanno governato la diocesi nel XVII° secolo. La chiesa ha comunque avuto un peso importante per le sorti della nostra città. Penso sia utile conoscere anche questo aspetto.

DAL CARD. GALLO AL CARD. BICHI

Splendida figura di prelato e di patrizio fu il Vescovo che succedette ad Teodosio Fiorenzi Anton María Gallo. Nato in Osimo da Piero Stefano nel 1553, era venuto assai per tempo in grazia del Cardinale Perretti, poi Sisto V, dal quale ottenne svariate dignità: e con sempre crescente fortuna fu Canonico della Basilica Vaticana, Vescovo di Perugia, Cardinale di S. R. C., Legato della Romagna, Protettore del Santuario di Loreto. Grande esultanza fu tra i nostri concittadini quando Anton Maria fu nominato cardinale, e maggiore manifestarono quando Gregorio XIV lo trasferì nel 1591 dalla Chiesa di Perugia a questa di Osimo col diritto di conservare il titolo di Cardinale perugino. Avvenne così che il porporato fece pompa solenne ingresso in città e, rivestito come egli era di autorità singolare, poté subito dar mano ad applicare importanti riforme nel governo della sua nuova Chiesa. All'opera legislativa; che si esplicò in buon numero di editti e nella promulgazione di ben nove sinodi, andò congiunta quella ispettiva esercitata con una prima visita generale alla Diocesi fatta nel 1592 e che fu di grande vantaggio a restaurare la disciplina ecclesiastica per molti aspetti ancora trasandata. Con questa condotta il Cardinale si mostra buon interprete dello spirito che aveva informato il Concilio di Trento e tiene forse dinanzi a sé l'esempio luminoso che poco prima aveva dato a Milano S. Carlo Borromeo: possiamo perciò perdonargli quell'infelice decreto, promulgato nel suo primo Sinodo del 1593, col quale denominò da S. Tecla la nostra Chiesa, che fino a quel giorno aveva riconosciuto per unico suo titolare e principale protettore S. Leopardo; mentre gli dobbiamo dare merito di avere, in ossequio ai nuovi canoni, istituito il Seminario destinandovi, insieme con altri benefici, le rendite e le case della soppressa parrocchia di S. M. di Piazza, dove furono allogati i primi alunni. Promosse inoltre la pietà e con devote funzioni, tra le quali ricorderemo solennità della Circoncizione, e richiamando all'osservanza dei giorni festivi. Portò ad Osimo nella nostra.cattedrale della reliquia della S. Spina, “pio labore quaesitam”.Queste benemerenze appartengono quasi tutte al primo periodo dopo di chè negli ultimi anni si trasferì a Roma amministrando la nostra Diocesi per mezzo di suoi vicari; e a Roma, dove nel 1615 era salito alla dignità di Decano del S. Collegio, mori il 30 marzo 1620. Con il Card. Gallo si apre il secolo XVII e ha inizio anche la serie dei Cardinali che, da questo tempo, salvo poche eccezioni, si succedettero sulla cattedra di S. Leopardo fino al 1861. Alla morte di questo porporato, Paolo V provvide prontamente alla nostra Diocesi destinandovi il Cardinale d'Araceli, Agostino Galamini, di Brisighella (Ravenna), che a 14 anni era entrato  nell' Ordine dei Predicatori dove ascese fino al grado di ministro generale. Profondamente versato negli studi teologici fu uomo di santa vita, e, quando dalle chiese di Recanati e Loreto fu nominato vescovo alla nostra città, lasciò vivo rimpianto delle sue virtù tra coloro che lasciava e accese di letizia gli animi dei nuovi suoi figli tra i quali impiegò subito instancabile zelo pastorale da cui gli derivò il supremo conforto di .vedere l'intera città consacrarsi alla Vergine del Rosario. Che dire poi della signorile liberalità che mostrò nel dar seguito alla nuova costruzione dell' episcopio, già iniziata dal vescovo Sinibaldi, nell'innalzare insieme con la cancelleria quella specola (dove oggi ha luogo l'osservatorio meteorologico) che permettesse di scorgere quasi saliente dallo scintillio della marina la Basilica Loretana, nel recingere di mura il sottoposto giardino, nel provvedere di un pregevole organo la cattedrale e arricchirla di molti argenti, nell'adornare lo splendido soffitto la chiesa del Battistero e dotarla di quel Fonte Battesimale, insigne opera d' arte che tuttora è oggetto di vanto e di ammirazione ( opera dei Pierpaolo e Tarquinio Jacometti su disegno di Paolo Lombardi) Perché la sua generosa carità operasse anche dopo la sua morte, costituì per testamento in dote di quattro oneste giovani osimane la rendita di una cospicua somma. Il Galamini mori in Osimo nel settembre del 1639 ed ebbe sepoltura nella Chiesa domenicana di S. Marco. Dopo il Galamini la nostra Diocesi rimase vacante per circa due anni e mezzo, e fu retta dal Vicario capitolare Dittaiuto Dittaiuti, canonico decano, fino a che da Urbano VIII, di casa Barberini, non vi fu provveduto nel 1642 con l'elezione Girolamo Verospi, romano, già Cardinale del Titolo di S. Agnese che, venuto in mezzo a noi, nel decennio del suo episcopato lasciò traccia di benefica attività, gettando la prima pietra sia della chiesa dei PP. Cappnccini (poi palazzo Bucci che si trovava in v Cappuccini fino al 1906) che dell'altra di S. Niccolò, che era tenuta dalle Suore Clarisse fin dal 1536 poi cacciate a seguito della rivoluzione francese nel 1810 (oggi ancora risiedono in quel monastero) e costruendo anche a sue spese il loro parlatorio; ma non altrettanto felice fu il provvedimento di aver fatto rivestire di intonaco e coprire di bianco la bella Cattedrale, vera profanazione artistica, ma allora era costume coprire ogni cosa che serviva per trovare rimedio contro i frequenti contagi che funestavano le popolazioni. Nel ministero più strettamente spirituale il Verospi si mostrò pieno di zelo e di pietà nè molto diversa della sua fu l'.operato del suo successore il Vescovo Ludovico Betti, nato da una nobile famiglia di Ancona, che, eletto nel 1652, per soli tre anni resse la nostra Diocesi, in quanto mori nella sua città natale il 26 ottobre 1655. La seconda metà del '600 fu per la nostra Diocesi età di grande splendore segnata dall'opera del cardinale Antonio Bichi che fu detto 1' eroe temporale della Chiesa osimana. Di nobile famiglia senese, nipote di Alessandro VII, ancor giovane inviato internunzio nelle fiandre, quindi eletto vescovo di Montalcino, era dunque il Bichi già noto per le sue doti e quando fu nominato dallo zio alla nostra sede, nel 1656 giunse tra noi. Con la sua la sua svariata e molteplice attività portò ancora lustro al suo nome e alla nostra città , che parve anche più magnifico quando di lì a poco ebbe l' onore della porpora. Molte sono le sue opere che restano nella nostra città specie quella parte dell' episcopio che verso nord si stende fino alla sacrestia, gli ampi magazzini annessi al palazzo episcopale, la scuderia, le cantine, le nuove carceri, il giardino signorilmente ornato con gusto secentesco; dando in tal modo splendore alla sede episcopale, con l'acquisto di vari fondi, alla sua mensa. Si adopera anche a costruzioni di abitazioni e a far spianare e pavimentare la strada che dalla piazza conduce al vescovado, prosegue la costruzione della chiesa di S. Niccolò già cominciata dal Verospi, getta nel 1662 la prima pietra della chiesa della Misericordia e dopo due anni ne fa la consacrazione, restaura alcuni fabbricati nel Monastero di S. Benvenuto dove abitavano le monache Benedettine. Tutto questo mecenatismo non portò danno alla sua attività pastorale di cui ci fanno fede l'alto concetto in cui tenne S. Giuseppe da Copertino e la riverenza che gli ebbe verso le sue eroiche virtù, le visite da lui compiute e le lodi che meritarono le sue relazioni, le utilissime leggi promulgate con i suoi sinodi, la ricognizione dei Corpi dei SS. MM. Vittore, Corona e Filippo, eseguita nell'anno 1662, e l' altra ricognizione pur degna di memoria delle reliquie, raccolte con infaticabile cura del patrizio osimano Girolamo Guarnieri, e dal Bichi fatte collocare nella Chiesa di S. Sebastiano, officiata dai PP. Filippini, entro teche riccamente decorate. Per quanto non fosse uomo di alta cultura seppe di essa apprezzare il valore e la pubblica utilità: ebbe il merito di aver ricevuto nel palazzo episcopale e favorito in vario modo i due dottissimi padri gesuiti Henschenius e Papebroch, continuatori della monumentale opera del Bolland, venuti aa Osimo per raccogliere notizie sui nostri Santi, come suo è il merito di aver solennemente aperto al pubblico la bibiloteca “Cina e Guarniera” e di aver fondato una Accademia storico-letteraria che fu detta dei “ Sorgenti” , che scomparì con la sua morte , rinacque nel '700 col nome di Accademia dei Risorgentí, con sede nel Collegio Campana. Il Card. Bichi morì in Osimo, dopo 35 anni di governo, il 21 febbraio 1691, e fu sepolto nella Cattedrale , dove suo nipote fece fare un ricco ricordo marmoreo, che ancor oggi si può osservare nella Chiesa. Il Card.. Opizio Pallavícíni che gli successe nell' agosto dello stesso anno, genovese di nascita, ben erudito nelle lettere sacre e profane, diede prova d' esser buon vescovo nei nove anni che resse la nostra Diocesi, ma più che ricordare le opere compiute da lui come nostro presule, tra le quali basterà i ripetuti lavori fatti nel Seminario e di una nuova pavimentazione fatta nella cattedrale, che purtroppo però diede luogo alla scomparsa di numerose iscrizioni antiche. Il Pallavicini prima di arrivare ad Osimo come vescovo nominato da Innocenzo Xlll, aveva rivestito incarichi nella nella diplomazia ecclesiale era passato dalla Nunziatura in Toscana a quella in .Colonia ed in Polonia, dove ebbe il fortunato merito di negoziare tra il Re Giovanni III, l'Imperatore Leopoldo I e la Repubblica di Venezia la composizione di quella lega che nel 1683 permise al valoroso Sobieski di mettere in fuga presso le mura di Vienna le orde mussulmane. Per queste sua attività si meritò la porpora cardinalizia e la nomina a vescovo di Spoleto e poi della nostra città. Splendida figura di prelato e di patrizio fu il Vescovo che succedette ad Teodosio Fiorenzi Anton María Gallo. Nato in Osimo da Piero Stefano nel 1553, era venuto assai per tempo in grazia del Cardinale Perretti, poi Sisto V, dal quale ottenne svariate dignità: e con sempre crescente fortuna fu Canonico della Basilica Vaticana, Vescovo di Perugia, Cardinale di S. R. C., Legato della Romagna, Protettore del Santuario di Loreto. Grande esultanza fu tra i nostri concittadini quando Anton Maria fu nominato cardinale, e maggiore manifestarono quando Gregorio XIV lo trasferì nel 1591 dalla Chiesa di Perugia a questa di Osimo col diritto di conservare il titolo di Cardinale perugino. Avvenne così che il porporato fece pompa solenne ingresso in citta e, rivestito come egli era di autorità singolare, potè subito dar mano ad applicare importanti riforme nel governo della sua nuova Chiesa. All' opera legislativa; che si esplicò in buon numero di editti e nella pro mulgazione di ben nove sinodi, andò congiunta quella ispettiva esercitata con una prima visita generale alla Diocesi fatta nel 1592 e che fu di grande vantaggio a restaurare la disciplina ecclesiastica per molti aspetti ancora trasandata. Con questa condotta il Cardinale si mostra buon interprete dello spirito che aveva informato il Concilio di Trento e tiene forse dinanzi a sé l'esempio luminoso che poco prima aveva dato a Milano S. Carlo Borromeo: possiamo perciò perdonargli quell'infelice decreto, promulgato nel suo primo Sinodo del 1593, col quale denominò da S. Tecla la nostra Chiesa, che fino a quel giorno aveva riconosciuto per unico suo titolare e principale protettore S. Leopardo; mentre gli dobbiamo dare merito di avere, in ossequio ai nuovi canoni, istituito il Seminario destinandovi, insieme con altri benefici, le rendite e le case della soppressa parrocchia di S. Nl. di Piazza, dove furono allogati i primi alunni. Promosse inoltre la pietà e con divote funzioni, trale quali ricorderemo solennità della Circoncizione, e richiamando all' osservanza dei giorni festivi. Portò ad Osimo nella nostra.cattedrale della reliquia della S. Spina, “pio labore quaesitam”. Queste benemerenze appartengono quasi tutte al primo periodo dopo di ché negli ultimi anni si trasferì a Roma amministrando la nostra Diocesi per mezzo di suoi vicari; e a Roma, dove nel 1615 era salito alla dignità di Decano del S. Collegio, mori il 30 marzo 1620. Con il Card. Gallo si apre il secolo XVII e ha inizio anche la serie dei Cardinali che, da questo tempo, salvo poche eccezioni, si succedettero sulla cattedra di S. Leopardo fino al 1861. Alla morte di questo porporato, Paolo V provvide prontamente alla nostra Diocesi destinandovi il Cardinale d'Araceli, Agostino Galamini, di Brisighella (Ravenna), che a 14 anni era entrato nell' Ordine dei Predicatori dove ascese fino al grado di ministro generale. Profondamente versato negli studi teologici fu uomo di santa vita, e, quando dalle chiese di Recanati e Loreto fu nominato vescovo alla nostra città, lasciò vivo rimpianto delle sue virtù tra coloro che lasciava e accese di letizia gli animi dei nuovi suoi figli tra i quali impiegò subito instancabile zelo pastorale da cui gli derivò il supremo conforto di .vedere l'intera città consacrarsi alla Vergine del Rosario. Che dire poi della signorile liberalità che mostrò nel dar seguito alla nuova costruzione del1' episcopio, già iniziata dal vescovo Sinibaldi, nell'innalzare insieme con la cancelleria quella specola (dove oggi ha luogo l'osservatorio meteorologico) che permettesse di scorgere quasi saliente dallo scintillio della marina la Basilica Loretana, nel recingere di mura il sottoposto giardino, nel provvedere di un pregevole organo la cattedrale e arricchirla di molti argenti, nell'adornare lo splendido soffitto la chiesa del Battistero e dotarla di quel Fonte Battesimale, insigne opera d' arte che tuttora è oggetto di vanto e di ammirazione ( opera dei Pierpaolo e Tarquinio Jacometti su disegno di Paolo Lombardi) Perché la sua generosa carità operasse anche dopo la sua morte, costituì per testamento in dote di quattro oneste giovani osimane la rendita di una cospicua somma. Il Galamini mori in Osimo nel settembre del 1639 ed ebbe sepoltura nella Chiesa domenicana di S. Marco. Dopo il Galamini la nostra Diocesi rimase vacante per circa due anni e mezzo, e fu retta dal Vicario capitolare Dittaiuto Dittaiuti, canonico decano, fino a che da Urbano VIII, di casa Barberini, non vi fu provveduto nel 1642 con l'elezione Girolamo Verospi, romano, già Cardinale del Titolo di S. Agnese che, venuto in mezzo a noi, nel decennio del suo episcopato lasciò traccia di benefica attivita, gettando la prima pietra sia della chiesa dei PP. Cappnccini (poi palazzo Bucci che si trovava in v Cappuccini fino al 1906) che dell'altra di S. Niccolò, che era trenuta dalle Suore Clarisse fin dal 1536 poi cacciate a seguito della rivoluzione francese nel 1810 (oggi ancora risiedono in quel monastero) e costruendo anche a sue spese il loro parlatorio; ma non altrettanto felice fu il provvedimento di aver fatto rivestire di intonaco e coprire di bianco la bella Cattedrale, vera profanazione artistica, ma allora era costume coprire ogni cosa che serviva per trovare rimedio contro i frequenti contagi che funestavano le popolazioni. Nel ministero più strettamente spirituale il Verospi si mostrò pieno di zelo e di pietà nè molto diversa della sua fu l'.operato del suo successore il Vescovo Ludovico Betti, nato da una nobile famiglia di Ancona, che, eletto nel 1652, per soli tre anni resse la nostra Diocesi, in quanto mori nella sua città natale il 26 ottobre 1655. La seconda metà del '600 fu per la nostra Diocesi età di grande splendore segnata dall'opera del cardinale Antonio Bichi che fu detto 1' eroe temporale della Chiesa osimana. Di nobile famiglia senese, nipote di Alessandro VII, ancor giovane inviato internunzio nelle fiandre, quindi eletto vescovo di Montalcino, era dunque il Bichi già noto per le sue doti e quando fu nominato dallo zio alla nostra sede, nel 1656 giunse tra noi. Con la sua la sua svariata e molteplice attività portò ancora lustro al suo nome e alla nostra città , che parve anche più magnifico quando di lì a poco ebbe l' onore della porpora. Molte sono le sue opere che restano nella nostra città specie quella parte dell' episcopio che verso nord si stende fino alla sacrestia, gli ampi magazzini annessi al palazzo episcopale, la scuderia, le cantine, le nuove carceri, il giardino signorilmente ornato con gusto secentesco; dando in tal modo splendore alla sede episcopale, con l'acquisto di vari fondi, alla sua mensa. Si adopera anche a costruzioni di abitazioni e a far spianare e pavimentare la strada che dalla piazza conduce al vescovado, prosegue la costruzione della chiesa di S. Niccolò già cominciata dal Verospi, getta nel 1662 la prima pietra della chiesa della Misericordia e dopo due anni ne fa la consacrazione, restaura alcuni fabbricati nel Monastero di S. Benvenuto dove abitavano le monache Benedettine. Tutto questo mecenatismo non portò danno alla sua attività pastorale di cui ci fanno fede l'alto concetto in cui tenne S. Giuseppe da Copertino e la riverenza che gli ebbe verso le sue eroiche virtù, le visite da lui compiute e le lodi che meritarono le sue relazioni, le utilissime leggi promulgate con i suoi sinodi, la ricognizione dei Corpi dei SS. MM. Vittore, Corona e Filippo, eseguita nell' anno 1662, e l' altra ricognizione pur degna di memoria delle reliquie, raccolte con infaticabile cura del patrizio osimano Girolamo Guarnieri, e dal Bichi fatte collocare nella Chiesa di S. Sebastiano, officiata dai PP. Filippini, entro teche riccamente decorate. Per quanto non fosse uomo di alta cultura seppe di essa apprezzare il valore e la pubblica utilità: ebbe il merito di aver ricevuto nel palazzo episcopale e favorito in vario modo i due dottissimi padri gesuiti Henschenius e Papebroch, continuatori della monumentale opera del Bolland, venuti a Osimo per raccogliere notizie sui nostri Santi, come suo è il merito di aver solennemente aperto al pubblico la biblioteca “Cina e Guarniera” e di aver fondato una Accademia storico-letteraria che fu detta dei “ Sorgenti” , che scomparì con la sua morte , rinacque nel '700 col nome di Accademia dei Rísorgenií, con sede nel Collegio Campana. Il Card. Bichi morì in Osimo, dopo 35 anni di governo, il 21 febbraio 1691, e fu sepolto nella Cattedrale , dove suo nipote fece fare un ricco ricordo marmoreo, che ancor oggi si può osservare nella Chiesa. Il Card.. Opizio Pallavicini che gli successe nell' agosto dello stesso anno, genovese di nascita, ben erudito nelle lettere sacre e profane, diede prova d' esser buon vescovo nei nove anni che resse la nostra Diocesi, ma più che ricordare le opere compiute da lui come nostro presule, tra le quali basterà i ripetuti lavori fatti nel Seminario e di una nuova pavimentazione fatta nella cattedrale, che purtroppo però diede luogo alla scomparsa di numerose iscrizioni antiche. Il Pallavicini prima di arrivare ad Osimo come vescovo nominato da Innocenzo Xlll, aveva rivestito incarichi nella nella diplomazia ecclesiale era passato dalla Nunziatura in Toscana a quella in .Colonia ed in Polonia, dove ebbe il fortunato merito di negoziare tra il Re Giovanni III, l'Imperatore Leopoldo I e la Repubblica di Venezia la composizione di quella lega che nel 1683 permise al valoroso Sobieski di mettere in fuga presso le mura di Vienna le orde mussulmane. Per queste sua attività si meritò la porpora cardinalizia e la nomina a vescovo di Spoleto e poi della nostra città.

 

 

 

 

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Published by franco focante
1 agosto 2016 1 01 /08 /agosto /2016 20:12
...Un PO DI STORIA NON FA MAI MALE.... LE CINQUE TORRI E IL PALAZZO CIVIC0.


Tutti avrete notato che nel nostro stemma comunale so no rappresentate cinque torri, tutti voi saprete dove queste sorgevano e a conoscenza di chi non lo sapesse, le descrivo come segue. Altro argomento che tutti avranno a conoscenza è il “palazzo comunale” che ha una storia molto particolare e suggestiva.

IL PALAZZO CIVICO
La nostra città, anzi il nostro Comune aveva già una sua sede da quando d si era affermato come “ libero Comune” (sec. XI- XII). Il palazzo primitivo sorgeva sull'area dove ora è sorto (fine dell' ottocento) il nuovo palazzo Baldeschi prospiciente da sud la piazza Maggiore e dove oggi è ospitata la farmacia Bartoli. Ha quel tempo, aveva, oltre il pianterreno, un solo piano superiore; ma, poiché l'interno doveva corrispondere alla nobiltà della facciata (che aveva delle superbe bifore in pietra d`Istria attribuite a Giorgio da Sebenico) doveva trattarsi di una vera degna sede. Del resto, la facciata meridionale, quella in via Oppia, con la parete tutta in pietra mostra un'ampia porta ad arco acuto. Fortunatamente - anche se in dispregio dell'arte e della storia - quando quel primo edificio fu demolito, il progettista del nuovo palazzo, che fu intelligente Giuseppe Uliscia, ebbe tanto rispetto per quelle finestre, che le sistemò poi lungo la parete di via Romani, per proteggerle dalle intemperie e dalle stesse troppo frequenti bufere settentrionali; poi, per le altre finestre, ebbe l'avvertenza di imitare queste, tanto più ragguardevoli.
La costruzione del nuovo palazzo civico fu deliberata nella seduta dell'8 agosto 1457 con delibera “permutatio domi Domini episciopi”.Era logico, che per un'opera così impegnativa, occorreva studiare con attenzione la ricerca dei mezzi. Si cominciò con un primo risparmio, cedendo al vescovo un certo fabbricato che, situato non lontano dalla Chiesa di San Bartolomeo , era del Comune, che però allora fungeva da Episcopio, dopo che nel 1382 la invasione di una forte masnada di malfattori aveva arrecato gravi danni al Duomo e all'Episcopio. In compenso, il vescovo cedeva al Comune una serie di casette che occupavano l'area dove sarebbe sorto il nuovo palazzo. Come altro accorgimento, il Comune, applicando una legge locale, in forza della quale chi faceva domanda di essere incluso nella nobiltà doveva fare all`erario una offerta a fondo perduto, fece versare al Patrignani, aspirante nobile, una somma per comprare 10.000 mattoni; denaro per altri 40.000 fu fatto versare all'aspirante nobile Pranzoni.
Non si sa precisamente quando furono iniziati i lavori per il nuovo palazzo Comunale Si sa però, che in una nota del Vecchietti all'opera del Compagnoni, che nel 1579 in quel nuovo palazzo furono sistemate molte pietre. Certamente queste fanno riferimento al basamento di pietre di marmo di epoca romana poste all'incontrario lungo tutta la facciata del comune e che, da quanto scrive l'Onofri, si ottenne “applicandovi molti frammenti di iscrizioni romane voltandone i testi verso il muro”. Si era, dunque, non oltre il primo piano Il progetto iniziale, fu portato da Roma dal preside della provincia mons. D'Aragona, proprio l'anno prima (19-XI-1578). E, poiché il disegno della facciata è del sanseverinate Pompeo Floriani (1548-1600) Occorrevano però molti altri denari , come riportato da un documento di archivio datato 20 maggio 1580 , c`era, però, chi ostacolava quella costruzione: il documento quindi era un atto di ammonimento contro chiunque cerchi di impedire la continuazione di quei lavori. Nel 1619 una nuova delibera assegna a tal fine il ricavato dalla vendita di 200 rubbia di grano del Monte Frumentario; poco dopo, si ricorre con una supplica a Paolo V (1605-1621) per ottenere un forte concorso alla spesa. Poi fu anche aumentata la gabella dei cereali. A un certo momento, si fu più civili e più moderni. Nelle “Riformanze” si legge: “Si deputino alcuni dei consiglieri a voler pregare tutti per cortesia a voler aiutare questa fabbrica, dalla quale risulta tanto decoro e reputazione a questa città, facendo anche concorrere artigiani e pubbliche industrie e quelli che sono fuori di Osimo , come il marchese Domenico Garzoni e Cino Campana e altri. Si supplichi il vescovo a far si che i preti abbiano anche essi a concorrere”.
E' plausibile che la maggior parte della costruzioine deve esseres tata fatta entro il 1675, lo si desume dai capitelli degli stipiti della finestra centrale dove è riportata la data: dicembre 1675.
Ma il compimento di tutto richiese ancora molti altri decenni. All'interno del palazzo vi fu costruita la Cappella, (1592)(Il privilegio della Cappella in Palazzo era stato concesso dal vescovo Zacchi nel 1470) che era officiata dai francescani, i quali in compenso godevano le rendite di un fondo in Lanciafarro (località lungo il fosso di Rosciano, poco prima di arrivare alla
provinciale di Ancona), e avevano “due metri di olio per la lampada “ In quegli stessi anni fu portata a maggiore altezza la torre del Comune, spendendovi 7 fiorini per ogni canna di elevazione, siamo nel 1538
Poco dopo, vi aggiunsero la campana grande dedicata a S. Corona, e la piccola, che serviva anche per lorologio, la campana era dedicata a S. Tecla. Altro orologio pubblico fu posto in seguito nella torre di Sant'Agostino (S. Palazia ) ma a spese della popolazione del Rione, intorno al 1574.
Non abbiamo ancora finito, Subito dopo che l'Amministrazione comunale ne aveva preso possesso, si addossò alla facciata orientale (e verso nord) la nuova chiesa della Morte (la quale veniva a sostituire laltra di Santa Maria del Mercato, che sorgeva poco lontano zona casa Colonnelli, ed era fatiscente). Non molto più tardi, sempre sulla stessa facciata di levante (e verso sud) si addossava il palazzo del Governatore. Tra i due edifici c'era solo uno stretto vicolo. Dovettero passare due secoli per arrivare alla demolizione di queste due né artistiche né armoniche costruzioni. Negli anni 1840 e successivi, si demolì il palazzo del governatore, per sostituirlo con la prima parte di portici che tuttora vediamo; Nel 1842 si completarono i lavori triennali, nel 1856 si deliberò di ripristinare la cappella (dove essere dove ora c'è un piccolo archivio nelle scale dell'ingresso sotto al loggiato. Luogo che fu anche abitato fino agli anni '50) nel 1866, si mise mano alla demolizione della chiesa, sostituendola con la seconda parte di quegli stessi portici. Dopo tale anno ospitò il polittico dei fratelli Vivarini, nel 1911 venne rubata la twela del lotto “ Vergine con Bambino” Gli ultimi lavori di conservazione si ebbero nel 1990. Una curiosità: la sala maggiore è l'unica sala (crdo al mondo) che parla in prima persona e tradotta dal latini, dice” Avevo da poco acquistato. Dopo lungo abbandono, un più decoroso aspetto, quando, scatenatasi la rabbia tedesca con le sue bombe contro la città, facendo strage dei suoi abitanti, fui ridotti in compoleta rovina. Ora dopo tanti anni sono risorta. 1948) Nella parete dove caddero le granate, oggi vi è lo stemma comunale.


LE TORRI
Quante ce ne siano state nei vari tempi, non sappiamo. Oggi abbiamo le tracce di sei (oltre quella civica, che è integra (alta m. 32,60), e che il Comune aveva comprato da Parduccio di Tommaso il 6 giugno 1366, pagandola 10 fiorini). Erano piantate sempre in prossimità delle porte o nei punti dove le mura potevano essere più facilmente violate. Oggi vediamo:
1) Della torre detta dei Sinibaldi, le robuste mura di base, mascherate ora dentro il negozio di parrucchiere all'angolo tra via Leonetta e via S. Filippo;
2) Di una torre meridionale sono visibili la base, la porta del corpo di guardia e gli spigoli in bugne di pietra, all`angolo di via Oppia con il vicolo Fiorenzi;
3) 3) La base di altra torre a difesa della mura settentrionale; base indicata ora da un tombino, che e di fronte all”ingresso di casa Colonnelli, in piazza Boccolino;
4) La parete (a Nord) di altra torre ancora a difesa della stessa mura settentrionale lungo la via di Fonte Magna, nel tratto di mura castellana tra il palazzo Sinibaldi e i finestroni del Mercato coperto;
5) La parete (a Nord) di altra torre, sempre a difesa della mura settentrionale, e che è incorporata nel palazzo oggi Cassa di Risparmio in via Campana. Se ne vedono anche qui il
bugnato in pietra, e la traccia della porta del corpo di guardia.
6) i un”ultima torre, a difesa della porta orientale, c'è notizia in atti di Curia, e in una lapide nella parete della Chiesa di S. Palazia, in via Matteotti. Che cosi recita (anche se si legge malissimo eanfrebbe restaurata la scrittura) “nell'arco qui innanzi sorgeva la porta romana detta di cavaticcio o S.Margherita dal popolo detta portarella o di S. A. fu demolita nel 1606 Poco più lontano a nord sorgeva una torre gotica cher fu abbattuta nel 1647.”
Perché tre torri (e forse non quelle sole) a difesa della mura settentrionale? Perché il terreno, dove sono sorti i fabbricati a Nord della piazza maggiore e dell'inizio del Corso, era inizialmente quasi tutta terra di riporto; e perciò quel tratto di mura non poteva avere la robustezza dei tratti rimanenti.

Palazzo BalleaniGuarnieri 1935

Palazzo BalleaniGuarnieri 1935

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Published by franco focante - in storia città
3 marzo 2016 4 03 /03 /marzo /2016 14:25
La Pietà
La Pietà

L'attuale chiesa di Santa Maria del Carmine, precedentemente dedicata a S. Pietro in vincoli, fu costruita ad opera del suo parroco Francesco Maria Renzi e aperta ai fedeli lo stesso anno. Negli Statuti è ricordata come chiesa di S. Pietro foris portae, perché posta subito fuori delle mura romane e della Portarella (sita sotto la chiesa di S.Palazia detta Porta Eustochia o di S. Margherita monostero delle suore Agostiniane distrutta nel 1606 per costruire la chiesa di S. Agostino) nel Borgo Cavaticcio. Nel 1657 fu rifatta dalle fondamenta e benedetta dal Bichi il 21 settembre 1659. Nel 1828 vi fu istituita la Confraternita del Carmine , dalla quale prese il nome. Intorno alla metà dell'Ottocento il Card. Soglia trasferì il titolo parrocchiale nella chiesa , chiese in Osimo (1886/1963) di S. Benvenuto, dove fu trasportata anche la tela raffigurante due episodi della vita di S. Pietro. Sull'altare maggiore è custodito un affresco (La Pietà) proveniente dalla demolita chiesa di S. Michele Arcangelo. Fu decorata nel l928 da Tommaso Gentili pittore osimano che decorò altre chiese in Osimo (1886/1963) La Pietà. Il quadro si trova nell'altare maggiore inserito entro una cornice dorata e riccamente intagliata a motivi vegetali stilizzati l'affresco proviene dalla Chiesa di San Michele Arcangelo, demolita nel 1857 dove, secondo il Massacesi , fu scoperto dietro un quadro di uno degli altari della chiesa durante l'episcopato del Cardinale Orazio Filippo Spada (1714-1724); in seguito alla distruzione della chiesa, l'affresco fu staccato e trasferito nella chiesa di San Pietro in Vincoli (detta della Madonna del Carmine), dove tuttora si trova. L'opera rappresenta la tradizionale iconografia della Pietà, in cui il Cristo è rappresentato a mezza figura e senza personaggi di contorno, con la testa reclinata sulla spalla, gli occhi chiusi e le mani incrociate sotto il costato, a mostrare i segni delle piaghe. Si tratta probabilmente di un'opera a carattere devozionale, come dimnostrerebbero le ridotte dimensioni, probabilmente inserita originariamente all'interno di un'edicola votiva. Il volto, pervaso da un misticismo pacato e molle, contrasta con la squadratura legnosa e semplificata del corpo levigato, privo di consistenza plastica e completamente risolto in superficie. L'inconsueto fondo scuro, da cui emerge l'immagine arcaicizzante del Cristo, potrebbe suggerire l'ispirazione a modelli "fiammingheggianti”. La struttura della chesa è in muratura portante.La chiesa presenta una pianta rettangolare coperta con una volta a botte lunettata in corrispondenza di quattro finestre poste sulla parte alte delle due pareti laterali. All'interno si trovano altri due altari laterali, dedicti alla Madonna del Carmine, quello a destra, e a S. Teresa del Bambin Gesù quello di sinistra. La facciata, molto semplice, è scandita da quattro paraste e dal timpano, tutto in mattoni a vista. Il portone d'ingresso e riquadrato da una cornice in pietra e al di sopra si trova una finestra rettangolare.


interno chiesa del Carmine

interno chiesa del Carmine

vista da via A.Pomerio

vista da via A.Pomerio

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Published by franco focante
28 dicembre 2015 1 28 /12 /dicembre /2015 13:35
..Un po di storia non fa mai male....

Quanno erimi belli e gnisciù ce pistaa i calli....

Siamo giunti alla fine di un anno e certamente qualcos'altro di nostro ci sarà sottratto.(reparto maternità) e dove certamente altri servizi saranno resi talmente insignificanti che la loro chiusura sarà inevitabile. Sono abbastanza “vecchio” per ricordare quando Osimo era un punto di riferimento per tutti i comuni ompresa Ancona. Quando, spesso e volentieri alte amministrazione chiedevano a noi come fare o me risolvere problemi di ordine amministrativo e burocratico. Penso che avevamo l'Ufficio Imposte Dirette, l'Uff. Del Rgistro, L'Uff. Del Dazio,la Pretura, il Tribunale, il Giudice di Pace (forse tornera?), le carceri, l'ospedale Muzio Gallo, l'Ist. Magistrale il cinema e forse mi sarà sfuggito qualcos'altro. Diamo sempre colpa ai politici come se questi non fossero nostri concittadini da noi eletti e da noi “perdonati” per poi rieleggerli.. “ semu propriu ciambotti!”

Molte colpe sono nostre perché deleghiamo loro ogni cosa senza mai fargli sentire il fiato sul collo quando prendono decisioni che sono avulse da ogni nostro interesse. (mi fermo qui) Quello che posto è la storia della nostra città ai tempi quando:

Che le beghe comunali di quel tempo non fossero le sole citate nel proseguo, ce lo dimostrano un breve di Martino V datato 30-XI-1430 (con cui si dà ancora un condono agli osimani per altre irruzioni contro Filottrano), e altro breve del 27-IV-1451, con il quale si ordina da Pio II di rimborsare agli anconetani i danni arrecati dagli osimani in altra irruzione, per contrasti di diritto sulla Commenda di S. Filippo alle Casenove. In questo argomento non è facile dire dove fosse il maggior torto, o almeno quale dei due avesse offeso l'altro per primo. Una lettera scritta nel 1473 dalla Comunità di Ancona a quella di Osimo dice: « Se li nostri vengono alli vostri molini con vostra utilità, sono presi e incarcerati e menati in preda li loro animali, e grano e farina. Li nostri Polverisiani sono assaltati dalli vostri ofitiali e fanti in li loro propri terreni, levatoli li porci e grani. Hieri sera vennero qua spasemati li nostri da Monte Seguro a dire che lì alle Casine presso alli muri del Castello sono stati assassinati dalli huomini vostri». Gli osimani, alla loro volta, oltrechè lagnarsi per la prigionia di quel Biagio di Matteo, ricorsero al Papa perchè gli anconetani costruivano la Rocca di Bolignano (Roccaccia o Rocca di Marchetti) per minacciarli proprio sui loro confini. Aggiungiamo che di tali imprese ladresche quei tempi ci han lasciato anche altre testimonianze, le quali ci fanno vedere di quanto antica data dovesse esser la ruggine tra Osimo e Ancona. Una lettera del Malatesta al suo Vicario in Osimo, datata 12 agosto 1410 , dice che gli anconitani hanno portato via abusivamente dal nostro territorio “100 some di grano e altri cereali, e che rubano pani, biadi, ferramenti e tucto quelo che trovano.” Ecco quidi: Le beghe tra Comuni.

La seconda metà del Quattrocento è piena di beghe con i Comuni limitrofi. E' forse per questo continuo guerreggiare e per quel continuo passar di truppe senza legge e senza controlli, che troviamo memoria, tanto nel 1461 quanto nel 1477, e ancora nel 1484 e nel 1497, di infezioni coleriche mortali e largamente diffuse : prova del come e del quanto fossero tenute in conto pulizia, igiene e sanità pubblica . Eccoci alle lotte principali tra Comune e Comune, inserendo tra l'una e l'altra, secondo le esigenze della cronologia, le notizie che hanno un qualche interesse per la nostra storia. Enea Silvio Piccolomini, l'umanista che ascese la cattedra di S. Pietro nel 1458, assumendo il nome di Pio II, si occupò di Osimo in varie circostanze. Con un breve da Mantova approva una delibera con cui il Consiglio generale stabiliva che nessuno potesse essere ammesso alla classe dei Nobili se non fosse stato accettato dallo stesso Consiglio generale. Abbiamo visto già come intervenisse anche per il restauro della mura castellana. Pio Il in Osimo.

Nel 1461 Osimo interviene in una lite tra Ancona e Iesi; e la sagacia del nostro Ugolino Sinibaldi riesce a condurla a lieto fine, nonostante una certa ruggine tra osimani e anconitani che, a causa di tal Forchetta loro milite qui trattenuto in carcere, avevano fatto delle scorrerie e danneggiamenti nel nostro territorio . Il 17 luglio 1464 il Papa, che aveva indetto a Mantova già nel 1460 una Crociata contro i Turchi, passava per Osimo diretto ad Ancona, dove avrebbe dovuto imbarcarsi per l'Oriente. Fu ricevuto dal nostro Vescovo Gaspare Zacchi, il quale lasciò scritto che la cittadinanza gli fece dono di un ricco pallio di seta rossa; pallio che tuttavia il Pontefice volle lasciare in Osimo, donandolo alla nostra Cattedrale. E qui c'è un episodio non dimenticato dai nostri storici: al seguito del Papa c'era, tra gli altri, il Cardinale di Pavia, il quale, giunto in Osimo ancora convalescente da una infermità incoltagli a Loreto,,si trattenne a riposarsi: nel sonno gli parve vedere il Papa agonizzante. Rimessosi prontamente in viaggio per Ancona, vi trovò realmente il Papa in agonia.Nè la morte si fece attendere, perchè il Pontefice spirò proprio il giorno del1'Assunta di quell'anno 1464 .

Scontri con Filottrano.

Un incidente, che fece qualche rumore, awenne in quegli stessi anni con Filottrano: per ragioni non ben chiare, ma forse per aver subìto una violazione di confini, il Magistrato di Osimo inviò uomini a piedi e a cavallo a fare quella che oggi si direbbe una spedizione punitiva. E infatti si procedette a una razzia di uomini, di cavalli e di bovi. Ritornati con la preda « a lu passu grande ››, cioè là dove era il vecchio ponte di San Domenico, gli uomini furono rilasciati; non così il bestiame. Una sentenza emessa a Monte dell'Olmo (Pausula, ora Corridonia) il 22-ll-1467 condannò i colpevoli a pagare una indennità di ben seimila ducati d'oro e cioè duecento ducati a testa (si trattava dunque di trenta esecutori). Ma il nuovo papa Paolo II, con breve dello stesso anno, riduceva la indennità a 300 ducati; e tutto fu accomodato Era tradizionale a Filottrano una certa mascherata, nella quale ogni anno si portava in giro su un cavallo un fantoccio che calzava uno stivale antico; dopo vari giri per le vie dell'abitato, il fantoccio veniva bruciato in Piazza, e lo stivale veniva messo in serbo per l'anno dopo... Dicevano che quello stivale era stato tolto, in altri tempi, a un comandante osimano durante una battaglia. Pensiamo che possa essere stato il so praddetto incidente a dar luogo a questa dicerìa o tradizione. Dopo molti anni, per avere qualcosa da offire ai turisti,attratti da “eventi medioevali”, Filottrano ha isituito “la contesa dello stivale” organizzata dalla “Società dello stivale” istituita nel settembre del 1979. Alla manifestazione partecipano anche le nostre aiutorità con costumi dell'epoca. (diceva un noto personaggio osimano: “ famuli cuntenti si fiji de..Ottrano..adè je manca pure la filanda..)

Incursione di Offagnesi.

Ed eccoci a un più grave incidente, questa volta con Offagna, che fu come il prodromo del non meno famoso episodio della cosiddetta Battaglia del porco. Abbiamo accennato altrove che i Gozzoliní possedevano Montegallo e le terre adiacenti. In un certo giorno del 1467 il loro fattore Marco Schiavo, trovato nei fondi di sua competenza un certo numero di maiali di proprietà di Giovanni Malacari di Offagna, li fa prendere e se li porta via. Gli offagnesi, naturalmente incitatí dal Malacari, fanno un'irruzione e portano via a loro volta 95 maiali, di proprietà dell'osimano Pietro Gugliano, col pretesto che avevano sconfinato verso di loro. Non contenti, ne rubano altri a Montegallo, e perfino uccidono il fattore, il quale forse aveva tentato di resistere alla prepotenza. Processo e condanna (7-IV-147O): al Podestà di Offagna che era anconitano duecento fiorini di penalità; a Antonio Scacchi nobile di Ancona, bando e confisca per l'omicidio; al fratello Bartolomeo, cinquecento fiorini di multa; altre pene ad altri . Intanto era salito al trono pontificio Francesco della Rovere che prese il nome di Sisto IV (1471). Già nell'anno primo del suo pontificato inviava ad Osimo un Breve con cui condonava il terzo del dovuto in quell'anno alla Camera apostolica, perchè con detta somma si riparassero le mura della città. C'è da credere che la somma precedentemente condonata da Pio Il non fosse bastata, o che i lavori, una volta messeci le mani , avessero rivelato necessità molto maggiori delle previste.

Accordi con Recanati.

Nel 1473 Recanati e Osimo si accordano per stroncare le manovre di certi malfattori i quali, compiute delle angherie in uno dei territori, si rifugiavano nell'altro sfuggendo per tal modo alla giustizia di entrambe le Comunità. Analogamente, cercarono i nostri di riuscire nello stesso intento con gli anconetani; ma purtroppo invano, perchè essi nè rilasciarono tale Biagio di Matteo, osimano da loro fatto prigioniero, nè cessarono di danneggiare campagne e persone : tanto che il giudice delle appellazio li condanno a dover pagare 400 ducati (sent.19-X-1475). I vecchi motivi di malumore per le nuove angherie fecero talmente inasprire gli animi, che il Papa, per evitarne le conseguenze, ordinò inchieste e giudizi. Ma tanto impegno valse ben poco. A guardare più in fondo le cose, tutti questi incidenti non erano che esplosione del grave contrasto tra i rispettivi interessi e conseguenti stati d'animo degli Anconetani e degli Osimani. Da un lato, mentre Ancona cresceve in potenza e floridezza, Osimo doveva rammaricarsi della sua stasi; dall'altro, mentre Ancona doveva vedere in Osimo, ancor troppo forte per essa, un ostacolo al suo più rapido affermarsi nell'entroterra, Osimo non intendeva rinunciare a quel prestigio che aveva fino allora goduto. E gli Anconetani l'avvertivano e a loro volta se ne indispettivano. Ciò spiega perchè i loro storici scrivessero gia nel Dugento: “Auximani, qui semper Anchonitanorum calcaneo insidiantur” ; e in pieno Cinquecento «esser cosa verissima che quelli i quali nascono in Osimo o del sangue auximano son nati, tutti sono inimici immortali d'Anconitani ››

La Battaglia del Porco.

Gli anconitani, e per il fatto di quei tali loro concittadini condannati per le razzie dei maiali, e per tutto quell'insieme di rancori che erano da quel fatto fomentati e da ogni piccolacircostanza inaspriti, raggranellarono, aiuti da Ascoli e da Camerino, quattromila armati. E già a mezzo giugno 1476, alcune loro bande invadevano Montegallo dandosi a distruggere, depredare e incendiare. Saputo che dagli osimani si preparava la rappresaglia, all'alba del 27 giugno il grosso delle loro forze, guidato da Astorgio Scottivoli, mosse contro la nostra città. Gli osimani non poterono più contenersi. Guidati dal loro concittadino Boccolino Gozzoni che aveva avuto il maggior danno da quelle depredazioni e incendi, e fidando più nella giustizia della loro causa che nel numero, in soli ottocento uomini uscirono dalla città e andarono incontro agli avversari, prendendo contatto con essi sulle colline dette Monti di Cesa (attuali ville Frampolli e Cariboldi tra Santo Stefano e Bellafiora) Le forze di Ancona erano disposte, parte tra Montecerno e Offagna al comando di Buldone, parte sulle colline di Santo Stefano al comando di Astorgio stesso, parte tra Bellafiora e San Biagio al comando di Zampino. Intendimento degli anconitani era di attirare Boccolino ad attaccare il centro, che era tenuto intenzionalmente più sprowisto, nella speranza di chiudere poi le ali e prendere Boccolino alle spalle. Ma Boccolino è troppo esperto per cadere in questa trappola. Attacca Zampino; e, ripresi i suoi da un momentaneo vacillamento, tanto va innanzi che obbliga gli altri reparti avversari a portare aiuto al1'attaccato. Quando costoro si sono precipitati dietro le spalle di Boccolino, le riserve che questi aveva nascoste al fosso di San Valentino li colgono a loro volta alle spalle. E da ciò il disordine, la strage e la fuga degli anconitani, che lasciano duecento morti sul campo e altrettanti prigionieri in potere di Boccolino. Anche il loro principale stendardo cade in mano dei nostri: degli osimani ne caddero una trentina. Questa almeno è la descrizione della battaglia, quale ce l'ha lasciata il poeta osimano Antonio Onofri, testimonio oculare anzi, uno dei comandanti - che cantò l'impresa con un poemetto latino in non spregevoli esametri.

Lo stendardo preso agli anconitanì.

In memoria del fatto d'armi, fu istituita una funzione religiosa in Cattedrale; funzione da svolgersi nell'anniversario del fatto d'arme (festa di S. Leone I, papa) e che si ripetette per tantissimi anni, fino ai primi anni del 1900. Ed era stato spargimento di sangue fraterno! Agli eredi dei caduti fu per delibera consigliare concessa la esenzione da tributi e dazi per quindici anni. Lo stendardo fu deposto in Comune; e ogni anno nella festa di San Leone Magno, anniversario della battaglia, si esponeva in presenza dei cittadini, in attesa di portare la luminaria al Santo. Ma qualche anno dopo, gli anconetani, a far cessare questo « rinnovellarsi di un dolore che al cuor premeva ›› corruppero un nostro concittadino che rubo lo stendardo e lo riconsegnò ad essi. Boccolino, saputolo, fece venire a sè questo osimano degenere... e gli proibi di mai più comparire in Consiglio, dicendogli: « Io non voglio imbrattarmi le mani nel sangue di un traditore; ma, se non vuoi che ti faccia tagliare naso e orecchie e cavare gli occhi, non comparire più in Palazzo ››. E gli voltò le spalle. L'altro, sapendo con chi aveva a che fare, tacque e obbedì . Anche un'altra... forma commemorativa si istituì allora e durò più secoli; e, sia pure con altre manifestazioni, se ne conserva traccia anche oggi: la popollarissima e afiollatissima festa di S. Biagio. Troviamo in certi appunti del nostro storico Giosuè Cecconi che l'origine del tiro al gallo nei pressi di quella chiesa rurale era attribuita, dai vecchi del suo tempo, alla volontà di perpetuare il ricordo della « battaglia del porco ›› svoltasi in quelle contrade. Si costruiva una lunga staccionata, al cui parapetto si appoggiava una numerosa schiera di uomini armati di fucile (ma, anticamente, di arco) e da lì sparavano su altrettanti galli tenuti legati a debita distanza. Il contadino che aveva fornito i galli riscoteva i soldi dell'ingaggio e rimaneva padrone degli animali non colpiti. Il papa Sisto IV, informato del grave fatto d'arme, inviò severissime rampogne, minacciando scomunica e diecimila ducati di ammenda se non si fosse venuti a una immediata pacificazione. Udite le giustificazioni degli osimani, tem-però alquanto verso i nostri il suo stile; impose però che i contendenti si rappacificassero, che fossero restituiti i prigionieri, e che il ponte dell'Aspio - per il quale anche si era conteso , fosse da allora in poi riparato e custodito a spesa comune. Con sentenza poi del 26 agosto dello stesso anno furono più dettagliatamente elimitati i confini tra i territori dei due Comuni contendenti.

..Un po di storia non fa mai male....
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Published by franco focante
24 dicembre 2015 4 24 /12 /dicembre /2015 14:13
Du enne fenidi i pupi

Con queste poghe righe scritte per un Natale di fine anni 80, voglio rendere omaggio ad un personaggio a modo, un signore d'altri tempi, Gettullio Bartelloni. Gettullio provvedeva a fare il presepio presso la chiesa sconsacrata di S. Bartolomeo. Era un presepio molto bello e grande, molto curato nei dettagli, con statuettre di un certo pregio, specie la natività e altri quattro o cinque pupi.

'L MISTERO DE NATALE

“Purtroppu `l Conte è morto. e st`anno il presepiu `nte la chiese de San Bartulumeo nun s`è potutu fà". Cusci m`ha rispostu na vecchietta che da du ore facea bubu dalla fenè. Sci. perché iu era un par d'ore che staceo puggiato `n te la porta de la chiese a spettà che calchidù la oprisse pe fà vede a la gente `l presepiu. Allo jo ditto "Ma tutti i pupi. i paesaggi e tutti l`altri accricchi pe fa `l giorno e la notte cu famo. li lassamo li a muffi'?" - No. nun ve la piate sà pena. de ssa porta c`è chi c`ha `natra chiae e me sà che de robba ce n`è `rmasta poga o gnente - m`ha ditto Lina. che tutte le madine va a fa la spesa là la piazza dell`erbe. che un pò de case e i pupi più picculi l`hanne pijati (dopo che l`hanne dumannadi alla ,moje del Conte) i frati della Misericordia. "I frati della Misericordia. cume tutti l'altri frati, è birbi. hanne piato solo quelli picculi cusci li "tirene su mejo". Jo rispostu. "ma ve pare a vo che i frati piavane solo quelli picculi de pupi. avranne pijato pure quelli granni?"

- No, no i frati nun l`hanne piati perché erene spariti. Nun c`erene più!!!

"E chi se l`ha piatti allo??`?"

~ Cusa volete che ve diga. cull`omo mia. miga fago la guar dia ai pupi dei presepi io!!

"C`ete ragio: ma se è da du ore che me faceate bubu dalla fenè. e me pare che quesso tutt`el giorno fate. a me me sà che vò calche co sapede e nun me lu volete di. " - Pezzo de scavistro che altru nun sete!!!

S`è stizzada, ha chiuso la fenè e è `gita via. (ma la tenda se badaa a move...) lo sò `ndato a bè li la cantina de Mezzelà. mentre che beeo me sò dumannato: "ma chi se li sarà piati i pupi granni del presepiu de San Bartulumeo'?" Certo è uno birbo multubè. perché i pupi nun parlane, ma l`ha da tenè `nguacciati ben bè, perché l`occhi de la gente vedene...

Statte attente nini!!!

Dopu, u sapudu, da un pezzu grossu che i pupi, quelli belli, erane gidi a fenì sul domu da Don Vittoriu perchè erane dei i Filippini, i frati che staceane li la chiese de San Filippu che dopu enne passada al Comune, pure i pupi erane del Comune. Alla fi de la canzona me pole pure sta be, ma tutti cull'altri chi se le pijadi?

Che colgo l 'occasione per fare gli auguri a tutti i lettori del mio blog e a quanti mi hanno inviato la loro news letter per avere aggiornamenti e comunicazioni. Sia un 2016 sereno e che si avveri ogni vostro desio.

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Published by franco focante
15 dicembre 2015 2 15 /12 /dicembre /2015 15:22

Cosi, il Cav Medeo (Umberto graciotti) vedeva il primo bancomat osimano

Caru Direttore de la Cassa de Sparagno,

grazie! De tutte le talevisioni private la più mejo è la vostra. lu nu lo sapeo a cosa servìa qùl fregno che ete mesu suppe 'l Corsu al po- stu dei cartello' del cine e quanno unu je s'è 'wicinatu e se mesu a fallu fistia', so 'ndatu a guarda'. Ma nun ce so 'ndatu solu iu: èrimie un centunaro a vede' quellu che sudâa e biastimava quanno la maghinetta je dicea de fa' el coddice segretu. Me cujoni... el segretu de Pulcinella! Con ducento occhi che te guardene! Ma però un dispiacere a j'Osimani je l'ete datto: scì, perchè prima bastaa a gira' la testa a destra e vedei el treatu, fa' un passu avanti e giralla a mancina e vedei cosa facea al Dobulavoro. Ade' se dêe camina' de più. Pure iu guardao sempre i cartello' del cine; miga pe' 'ndalli a vede, ma pe' famme una cultura muderna perché iu le donne alluscì nude nu l'ho viste mai. Bonanima de mi' moje, pure quanno 'ndacemie a lettu, c'ea do tre maje de lana, i mutando' felpati e, sopre, un guazzarò che lia chiamâa camigia da notte. Erene altri

tempi, lu so, tempi quelli che nun sapei se sotta al guarnello c'ea tre gambe, una sola o i zampi come i taoli'. Si je vedei, d'estate, unu stincu nudu sotta a le sottane, te se n'fogava la toscia, te fistiava le recchie e 'ncuminciavi a gira' intorno cume le papele ntel lume. I cuntadì erene più svelti, sarà statu per via de j'animali che je facevene l'amore 'ntornu casa e che partoriene tutt'un filu, so bbe' che

lora all'estate se «nguacciavene» dietru al pajaru de la mistiga e, a fine maggiu, poeticamente, qualche fiu fiorìa insieme a le papole, a la luce de le lucciole e col cricrì dei grilli. In campagna tanti fiji nascevene da sei mesi, dicea...pei strapazzi de la madre... (sci, dietru al pajaru de la mistiga, ma però!). Ade' pure nascene i fiji de sei mesi, ma poesse pure che te nascene sei fiji da un mese per-ché ammò i duttori cianne le medicine pe' tuttu: vôi du' gemelli biondi? Pia du' pasticche gialle americane e pe' qualche mese manna tu' marito a Camaldoli sennò inquina l'impollinazio'.

Vôi sape' se sei incinta? Fai 'na pisciatina nt' una pasticca e lia te lu dice. E dobu è pianti e cagnare: la moje nu lo vole (el fiu) per via che je se slenta la panza; el padre fa i conti se co' j'assegni de un antro fiu je ce scappa de gambià la maghina; la madre de lia se' 'ncazza perchè pure quessu de fiu, insieme a qull'altri due, nu je la fa a badalli. 'Na olta tutte sse birbarie nun c'era, se facea tuttu de casa, cume el pa': mettei 'l lievitu nte la massa, se gonfiaa, la pagnotta stacea ntel fornu el tempo giustu e a la fine la cavài: qual- chiduna era più cotta, qualchiduna, vicinu a lu sportellu, era cotta de menu, tante erene cotte giuste, ma era tutto pa' de casa. Ade' la massa la dovriène fa' col borotalco, el lievito dovrìa esse ormoni, quelli che gonfia la ciccia e allora ' joniscene: je piace a magna' i grisini 'nvece che... le pagnotte! Scusate sor Direttore de tutte sse chiacchiere per le quali vo' ve ne fregate; vo' penzate ai quadrini. E è giustu, è per quelli ch'ete fattu mette le cassa continua. E è tutti cuntenti quelli che, per fregalli i quadrini, li mette in banca quanno nisciu' li vede: già me lo figuro qualche poretto de signore che pe' nun fasse vede se alza a le tre de notte e ritira i soldi dobu ave'

'mbugato la cartulina; ma no la cartulina che spedìo iu, co scritto: il fante Medeo manda dal Carso tanti cari saluti a tutti i famigliari e così spero di voi. Qul boja d'un signore ce scrie: tanti saluti del Carso a tutti e... bonanotte!

Devotissimo

CA VALIERE MEDEO

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Published by franco focante
20 marzo 2015 5 20 /03 /marzo /2015 10:43
" O " come Osimo

Sono stato sollecitato da diverse persone di pubblicare qualcosa di osimano, di quello antico, di quello che sta scomparendo a causa di molteplici situazioni “contrarie all'identità osimana” Lungi da me di insegnare o di voler imporre qualcosa a chicchesia. Ho accettato solo per spirito di “conoscenza” e di “appartenenza”. Osimo versopiazza è anche questo. E poi qualcuno “storce 'l muso”, badasse a camminà..." la strada enne del cumune chi ce caga e chi ce fa lume!".. se dicea da bardasci...

Donca, cumenzamu e cumenzamu bè, cusa se nun altru che lu stemma de la città scritta dall'ing Benedetto barbalarga?

LO STEMMA D'OSIMO

(El fiu de Pietru)

”Na mura e cinque torri

'na porta e due liò,

saldi de drentu e fori,

a l'erta, a l'erta sto.

Per le piane laggiò l'imperatore

se ferma cu l'esercítu invasore,

se ferma e guarda su ste vecchie mure

ma sa che ci ha le pietre troppu dure

ce pensa e po' senz'altru se ne va.

Sta al postu i due liò,

è salva da la strage la città:

a l'erta, a l'erta sto.

Tra le città picene le mijori

so' cinque cume cinque so' le torri,

se conclude 'na lega Osimu è prima

sarà la torre che alza più la cima

se fa 'na lega per la libertà.

Dai merlí e dai sperò

la potenza de Roma vejerà:

a 1'erta, a l'erta sto.

Cuscì 'na volta quannu che l'idea

cu la spada difenne se dovea.

M'adè ch'el monnu urmai ns'è ncivilitu,

addiu torri e líò tuttu è finitu.

Resta l'emblema solu a dimustrà

che la grannezza rinnovà se pò

oggi cu 1'opre bone e cu l'ingegno

torri c liò de legno

a l'erta, a l'erta sto.

Osimo, 2 maggio 1929

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Published by franco focante - in informazioni culturali
6 marzo 2015 5 06 /03 /marzo /2015 15:56
ludovico il moro
ludovico il moro

Un po di storia non fa mai male ...

Siamo Arrivati ​​alla Metà del 1400 e Osimo costruisce la rocca di Montefano Contro i Recanatesi MENTRE Ancona costruisce la rocca di Offagna Contro Gli Osimani. Accadono diverse scaramuccie Tra Gli Osimani e Gli Anconetani, quest'ultimi si Lamentano con il papa Sisto IV per i Danni subiti Dagli Osimani Che a Loro volta si Lamentano con il pontefice per la Costruzione della rocca di Bolignano. Ancona DEVE Versare ben 400 ducati per i Danni Fatti Nelle campagne osimane. Scoppia "La battaglia del porco" tra 800 Osimani e ben Oltre 4.000 di tra Anconetani, Ascolani e camerinesi. Gli Osimani capeggiati da Boccolino di Guzzoni sconfiggono i Nemici e Boccolino entra trionfante a Osimo (tralascio Tutte le Imprese cruente di Boccolino per impossessarsi in antecedenza della città con l'assalto al consiglio comunale e l'uccisione di cinque Consiglieri Tra i Quali Giacomo Leiopardi, bertruccio Domenico e Tiberio Guarnieri) Il 2 agosto del 1487 B. Vienne Cacciato da Osimo con il Suo Seguito Di ben 74 armati, scortato Dalle milizie di Trivulzio Mandato dal papa in Aiuto alla città. Dati Venne B. si traferisce alla corte dei Medici dove con la Protezione di Lorenzo Gli la ciottadinanza e molte onorificenze. Ma la vita sedentaria mal Gli si addiceva, si traferisce alla corte di Ludovico il Moro a Milano con il Quale combatte Battaglie e riceve onorificenze e ricompense. Il Carattere scontroso e soltiraio Gli procura osteggiamenti da Parte di Altri capitani di ventura. Ben presto i rapporti con il Moro si deteriorano Anche a causa di di diverse simpatie femminili, Quelle di tra la moglie di Gian Galeazzo, Isabella di Napoli e Beatrice d'Este moglie di Ludovico il Che vedeva in B. "il cavaliere protettore del Regno" Altra causa fu la consegna di B. al papa da Parte del Moro, il Che Così si ingraziò Le Grazie Papali, accusando B. di tradimento. Era il 14 giugno del 1.494, sadbato, when B. fu impiccato Nella Piazza Maggiore di Milano "..ed being col cappio al collo una Quella condotta Disse Che non meritava di morire per mani di cosi vile uomo qual era Magistrato della giuastizia e Dicendo cosi si buttgò Dalla scala e rimase impiccato per la gola .. "Con La scoperta dell'America 12/10/1492 entra l'epoca moderna ...​​

Bbeatrice dEeste

Bbeatrice dEeste

Lorenzo il magnifico riceve Buccolino

Lorenzo il magnifico riceve Buccolino

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Published by franco focante - in osimo
23 gennaio 2015 5 23 /01 /gennaio /2015 14:51
Usi e costumi osimani (e dintorni)


Noi siamo popolo pieni di pregiudizi che ci vengono tramandati da una tradizione che si arricchisce nel corso del tempo. Questo spirito, legato ai pregiudizi della tradizione, non e solo locale Esso risente ancora dell'indole e del carattere degli antichi romani che furono i padri della superstizione, pensate Che non indietreggiarono difronte a Porsenna ed Annibale, ma fuggivano terrorizzati al vedere una lepre che per loro significava presago funesti. Il fato, la forza del fato! "Non si spazza mai di sera dopo L'Ave Maria. Farlo significava allontanare la Provvidenza divina. Dopo mezzogiorno non si possono ammazzare i ragni, secondo una leggenda un ragno intessè una magnifica tela sul capo di Gesù bambino nella mangiatoia. Fare il letto in tre o qualsiasi altra faccenda, porta male: morirà infatti il più piccolo, cosi come accendere una sigaretta in tre. Se batte l'occhio destro, porta disgrazia; se batte il sinistro, fortuna: "occhiu mancu core Francu: occhiu driuttu- nucleo afflittu" Se prude il naso, si dice che è segno di baci o cazzotti s ti fischia l'orecchio sinistro vuol dire che qualcuno parla bene di noi se è Il destro parla male di noi. Sarà presagio di buon matrimonio per la persona alla nostra sinistra, se aprendo una arancia questa sarà rossa. Le macchioline bianche delle unghie Sono indice di bugie. Coloro che hanno i denti incisivi superiore leggermente distaccati, si crede abbiano nella vita una fortuna favolosa. S i ritengano felici coloro che hanno il cognome abbinato con il nome (Valentino Valentini) Non si mettei mai la fila (Pagnotta) del pane capovolta, perché se no, piange la Madonna. Di questi detti ce ne sono diverse centinaia, tutti legati ad un tempo andato quando, forse (anzi certamente) si tribolava di più. Oggi queste espressioni ci fanno sorridere ma forse se ci ragionate un n "tantinino" qualcosa di positivo vi porteranno certamente. Me le sto Leggendo e vi confesso che sono una vera e propria scoperta del vivere quotidiano di un tempo andato, il che non ê nostalgia, ma la riscoperta di un vivere che come si dice oggi, ma non si fa: "a Dimensione di uomo" Spero vi siano gradite.














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Published by franco focante - in cose andate